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Prospettiva, luce e colore nell’illusionismo architettonico

47,50

Quadraturismo e grande decorazione nella pittura di età barocca

a cura di Stefano Bertocci, Fauzia Farneti

Roma, 2015, formato cm 17×24, pag. 384, ill. a colori e in bianco e nero

ISBN: 9788875751647
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Descrizione

Un fenomeno quanto mai affascinante, nella fase più intellettualistica del Manierismo cinquecentesco, fu la moltiplicazione dei livelli di realtà per via d’inganno pittorico, inaugurata su grande scala da Michelangelo nella volta della Sistina (1508-12), dove all’intelaiatura architettonica proposta come verosimile si giustappongono “al di qua” gl’ignudi e “al di là” le scene bibliche negli sfondati. Tra gli altri Francesco Salviati, Taddeo e Federico Zuccari, Bernardino Barbatelli detto il Poccetti adattarono alle pitture murale profane in palazzi e palazzetti virtuosismi ottici e prospettici, così da combinare l’impressione di sporgenza delle figure e delle finte statue in primo piano con l’impressione contraria di sprofondamento verso la lontananza delle scene narrative, proposte però talora come “quadri riportati” o addirittura panni dipinti con tanto di galloni frangiati e finti arazzi, sovrapposti a strutture seminascoste e tuttavia visibili. Toccato un vertice altissimo dai Carracci nella Galleria di palazzo Farnese a Roma (1597-1600 circa), la pittura murale con intenti illusionistici si sarebbe sviluppata ulteriormente in varie direzioni.
È in questo processo che si sviluppa e si consolida la specificità del “quadraturismo”, tipologia pittorica evidentemente collegata dal punto di vista etimologico con il “lavoro di quadro” o la “quadratura”, operazioni tanto grafiche quanto plastiche. Il genere, affermatosi nella propria autonomia entro la prima metà del XVII secolo, dilata e declina in infinite varianti il motivo della finta spazialità – e quindi della finta architettura – che trapassa, sfalda, scava e modella, sempre con modalità illusoria, volte e pareti.
Padronanza dei linguaggi architettonici, ferreo governo della prospettiva e approfondita scienza delle ombre sono le abilità fondamentali del quadraturista il quale, se introduce figure, animali o vegetali nelle sue costruzioni immaginarie, ha tuttavia lo scopo di corroborare il potere dell’illusione aumentandone la verosimiglianza e quindi la credibilità. Espediente indispensabile è poi la tenuta della coerenza della distribuzione dei lumi e degli scuri, non solo all’interno della struttura dipinta, ma anche e soprattutto in rapporto alle fonti di luce naturale. A volte, fini lumeggiature d’oro intervengono ad accentuare i chiarori, simulando il brillio dei raggi solari sui massimi risalti. “Dolci inganni”, questi del pittore quadraturista, per rubare una formula da una canzone cinquecentesca di Pier Luigi da Palestrina, in cui ricorre il topos dell’artificio che vince la Natura in un bel ritratto femminile, appunto ingannando il riguardante: “Da così dotta man sei stato fatto/Vaghissimo ritratto/Ch’io non saprei ridir/Se viva sei/O se fai dolci inganni agli occhi miei”.

Dalla introduzione di Cristina Acidini